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Hikikomori, una reclusione volontaria: il mondo in una cameretta

Il fenomeno nato in Giappone negli ultimi anni sta dilagando anche in Europa e si è acuito con il lockdown. Sicilia una delle regioni più attive, c’è anche la Calabria. In Italia oltre 100mila casi

«Sono Mattia, ho 18 anni, e da 8 amo starmene da solo. A casa mia. Senza nessuno che mi ronzi intorno, senza rumori. Solo, con poca luce». Quella di Mattia è solo una goccia nell’oceano dei giovani hikikomori, tradotto letteralmente dal giapponese: “starsene in disparte”. Una sorta di allergia alla socialità, che si traduce nella scelta di isolarsi dal resto del mondo, restando possibilmente al buio. Al massimo con la fioca luce dello smartphone a fare compagnia. Un fenomeno dilagante che, dall’Asia, si è rapidamente propagato anche in Europa e nel resto del mondo. Stando ai dati raccolti dalla Fondazione Veronesi sono oltre 100mila le ragazze e i ragazzi, prevalentemente in età adolescenziale (il disagio spesso sconfina e si trascina però ben oltre i 20, i 30 e i 40 anni) colpiti dalla “maledizione” degli isolati. Ad appesantire il dato ha contribuito il lockdown che – in un certo senso – ha definitivamente “sdoganato” la figura degli hikikomori, avendo tra gli effetti collaterali quello dell’impossibilità di poter vivere in mezzo alle altre persone. E così, scongiurato il contagio da Covid, è stato indirettamente acuito il problema di chi vuole evitare contatti con tutto ciò che vada oltre la propria cameretta. Una sorta di realtà parallela dentro cui rifugiarsi.

Le radici del disagio

Il fenomeno degli hikikomori è emerso negli anni ’90 in Giappone e da allora si è diffuso anche in altri paesi asiatici come la Corea del Sud e la Cina. Si stima che, a oggi, ci siano circa un milione di hikikomori in Giappone, anche se non esiste una definizione ufficiale del disagio e le stime variano notevolmente. Le sono ancora oggetto di dibattito: per alcuni esperti sarebbe il risultato di una pressione sociale eccessiva per la performance e l’eccellenza, che porta le giovani generazioni a sentirsi sopraffatte e incapaci di affrontare la vita adulta. Altri ipotizzano che gli hikikomori siano il risultato di un trauma psicologico o di disturbo mentale.
Lo studio degli hikikomori rappresenta una sfida per la società giapponese (e, ormai, non solo per la Nazione asiatica), in quanto questi giovani adulti rappresentano una perdita economica e sociale per il Paese. Le autorità giapponesi stanno cercando di affrontare il problema attraverso programmi di supporto e assistenza per gli hikikomori e le loro famiglie.

Chi ne viene colpito

Uno studio credibile sugli hikikomori in Italia è stato effettuato dalla Fondazione Veronesi che ha focalizzato la propria attenzione sono soprattutto su giovani tra i 14 e i 30 anni (maschi nel 70-90% dei casi), anche se il numero delle ragazze isolate potrebbe non essere quello effettivo (gli studi in questione si basano principalmente su sondaggi).

Scuola e hikikomori

Il luogo considerato ostile per eccellenza, per chi è colpito da questa problematica tra i 10 e i 20 anni, è la scuola. Le ripercussioni su frequenza e rendimento sono inevitabili. Molte e molti hikikomori non si presentano in classe – alimentando un altro fenomeno che sta prendendo piede, ovvero quello del drop-out – o, quando provano ad uscire dalla loro “caverna”, sono svogliati, poco interessati e scarsamente interattivi.
Le associazioni anti-isolamento. Trattandosi di una materia poco conosciuta e approdata in Italia da poco tempo, il mondo dell’associazionismo si sta pian piano organizzando. Da nove anni, ad esempio, è stata istituita in Sicilia l’associazione “Hikikomori Italia Genitori onlus”, coordinata da Marcella Greco, che offre un costante sostegno alle famiglie delle ragazze e dei ragazzi “ritirati”. Lo scorso anno, inoltre, la presidente italiana del movimento nato proprio per fronteggiare il fenomeno che comporta l’isolamento giovanile, Elena Maria Chiesa Carolei, ha firmato un protocollo di intesa con l’Ufficio scolastico regionale della Sicilia. Una sorta di patto di solidarietà tra scuola e famiglie per la conoscenza, l’individuazione, la gestione e la sensibilizzazione sul fenomeno.
L’accordo tiene conto di una delle “vittime” collaterali mietute dal propagarsi del fenomeno: ovvero le famiglie, che hanno bisogno di un sostegno costante. Come? Attraverso l’attivazione di didattiche specifiche (in un primo momento la dad può rappresentare il trait d’union tra l’impossibilità degli hikikomori di tornare tra i banchi di scuola e la necessità che questi si formino e non perdano anni scolastici a causa del loro disagio) e incontri specifici sul tema.
«Oltre alla Sicilia, siamo presenti su tutto il territorio nazionale, Calabria compresa. Le famiglie iscritte sono 4000. Nella regione Sicilia, su cui sono attiva personalmente, seguo una novantina di famiglie, ma ho la certezza che il numero sia decisamente più alto», spiega Marcella Greco, coordinatrice dell’associazione siciliana. «Lo scopo della nostra associazione è che la condizione hikikomori dei nostri figli e delle nostre figlie sia passeggera, e con l’aiuto della scuola, di esperti insieme alle famiglie, possano tornare ad uscire dalle loro stanze e da casa per ricominciare una vita normale. Per questo – sottolinea – è importante la firma del protocollo fatta con l’Ufficio scolastico regionale Sicilia, che ci vede tra i primi in Italia».

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