È stato profondo, e prolifico, l'inatteso esercizio di riflessione al quale lo spettacolo più grande dopo il Big Bang, il Festival di Sanremo 2022 di un cosmico Amadeus, ha indotto il suo pubblico planetario, almeno quello in tal senso bendisposto. Pur nella massima glorificazione dell'apparenza, l'appello ad andare "oltre" ha comunque albergato per cinque giorni all'Ariston dissimulato, ma non troppo, tra lustrini e paillettes, veicolato in multiforme espressione, sottile o imponente. Sintetizzabile in una sola parola: rispetto. Da cui discende necessariamente l'accettazione dell'altrui essere, quale che esso sia.
Da Checco Zalone che, a suo modo, ha portato un irriverente contributo alla metabolizzazione della pluralità dei generi (nell'acronimo ormai noto LGBT meglio ormai aggiungere almeno altre tre o quattro lettere...), alla superba Drusilla Foer, che alla parola "diversità" suggerisce finemente di sostituire "unicità" invitando alla preziosa e mai sufficiente apertura all'ascolto, di se stessi e degli altri. Da Lorena Cesarini, che con le parole di Tahar Ben Jelloun e con le sue lacrime sul palco scintillante ha dato la misura di quanto la discriminazione razziale sia piaga presente e di quante altre Giornate della Memoria sarebbero necessarie per lenirla, a "Blanca" Maria Chiara Giannetta, che ha portato sotto i riflettori i suoi "guardiani" non vedenti invitandoci ad immedesimarci nel loro buio, e in tutte le altre oscurità in cui potrebbe affondare chiunque - disabile o meno - ci stia accanto. Roberto Saviano ha affidato alla commemorazione immensa di Falcone e Borsellino e al ricordo di Rita Atria, e del suo ultimo tema scritto a scuola prima di uccidersi a 17 anni, il monito sul coraggio di schierarsi e sull'ineluttabilità della scelta personale. Marco Mengoni e Filippo Scotti, richiamando il dettato costituzionale che più di ogni altro supremamente sancisce i confini fra libertà e rispetto, ci hanno trafitto con un crescendo di ingiurie, non un copione inventato su Sanremo ma commenti reali tratti dalla prateria - e pirateria - selvaggia del web, per scuoterci in mondovisione sul dilagare dell'odio social e sull'urgenza di arginarlo, anche con i versi "gentili" di Franco Arminio. Le scuse sornione di Achille Lauro, replicabili da tutti gli uomini a tutte le donne riassunte in una sola, la monumentale Loredana Bertè, hanno evocato gli spettri immanenti di un equilibrio di genere ancora troppo remoto.
Il richiamo istituzionale non è poi mancato, dal sentito sincero tributo per il presidente Sergio Mattarella alle farfalle olimpiche della ginnastica azzurra (impegnate con acrobazia altrettanto riuscita nell'esaltazione di un altro "mito" italiano: la Nutella, nella giornata internazionale che la celebrava), fino all'Inno di Mameli eseguito dalla banda della Guardia di Finanza. Sabrina Ferilli ha invece sparigliato, non approfondendo alcun tema ma invece con leggerezza richiamandoli tutti, lasciando libera la prosecuzione individuale della riflessione nell'invitare ciascuno a dare valore a ciò che è, alla propria storia.
L'inno alla gioia di Jovanotti
Uno speciale inno al rispetto globale, attraverso la gratitudine per l'esistente, non poteva che provenire, poi, dal teorico del pensare positivo, Lorenzo Cherubini, ancora scherzosamente vestito e investito del nome d'arte, Jovanotti, nato per un fortuito errore di sette lustri addietro quando con i ragazzi di Radio Deejay nella scuderia di Claudio Cecchetto - con lo stesso Amadeus, Linus, Albertino, Gerry Scotty - si approssimava ad una dimensione artistica che ora in quell'appellativo sta oggettivamente stretta.
Lorenzo ha monopolizzato la semifinale, non solo con l'esibizione accanto all'highlander Gianni Morandi - 77 estati, più che primavere - del cui brano in gara è stato autore, ma anche con un memorabile squarcio di pura poesia, da cogliere nella serata delle "cover" dedicata alle citazioni celebri, musicali ma non solo. Organizzando l'imprevista performance grafica di Amadeus, condotto a disegnare sul palco "per la prima volta durante un festival" seduto al banco come un simpatico scolaretto con sottofondo di collodiana memoria, ha creato un'immagine iconica che ha portato all'Ariston anche il mondo della scuola, fronte allargato di strenua sopravvivenza civile ormai da due anni, al quale è stato tributato un omaggio sintetizzato nel saluto agli studenti, protagonisti di questi "anni duri". E mentre Ama placidamente disegnava, Jovanotti ha declamato i portentosi 94 versi di "Bello Mondo" della poetessa (da lui appellata "poeta", quale termine che "non ha genere") Mariangela Gualtieri, offrendo alla platea festivaliera un moderno cantico delle creature, ode alla vita e a tutto ciò che la anima, e prezioso antidoto - nel suo "essere" poesia, che fornisce "risposte alle domande non fatte", e nel suo "contenere" poesia - a brutture e dolori, che il tempo presente sta amplificando per ciascuno a suo modo. Un inno alla vita ripreso e pronunciato da chi, peraltro, proprio come Lorenzo, ha sperimentato - oltre al Covid - il dramma della malattia oncologica fortunatamente superata dalla figlia Teresa.
Ma anche un altro è il riferimento poetico portato a Sanremo da Cherubini-Morandi, nel brano celebrato dal trionfo tra le cover e dal premio "Lucio Dalla" dalla sala stampa. Nascosto nel titolo "Apri tutte le porte", ma anche nel significato più intimo del brano che invita a schiuderci al futuro di un giorno nuovo, c'è infatti il riferimento al verso di una tra le più struggenti poesie di Pablo Neruda "Il tuo sorriso". Ed è il sorriso dell'amata, celebrato nelle parole eterne del poeta cileno , che "sale al cielo cercandomi / ed apre per me tutte/ le porte della vita". Quel sorriso, vitale più del pane e dell'aria, della luce e della primavera, che può senz'altro esser annoverato tra i doni più graditi. Armati del quale cogliere l'invito a esistere, e resistere.
Mariangela Gualtieri, un mosaico di emozioni
La poetessa, nata a Cesena nel 1951, ha sottolineato "l'inadeguatezza della parola", ed ha pubblicato il componimento "Bello Mondo" nella silloge Le Giovani Parole (Einaudi 2015).
"BELLO MONDO"
Io ringraziare desidero il divino
labirinto delle cause e degli effetti
per la diversità delle creature
che popolano questo universo singolare
ringraziare desidero
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità
per il pane e per il sale
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede
per l’arte dell’amicizia
per l’ultima giornata di Socrate
per il linguaggio, che può simulare la sapienza
io ringraziare desidero
per il coraggio e la felicità degli altri
per la patria sentita nei gelsomini
e per lo splendore del fuoco
che nessun umano può guardare
senza uno stupore antico
e per il mare
che è il più vicino e il più dolce
fra tutti gli Dèi
Io ringraziare desidero
perché sono tornate le lucciole
e per noi
per quando siamo ardenti e leggeri
per quando siamo allegri e grati
per la bellezza delle parole
natura astratta di Dio
per la lettura, la scrittura
che ci fanno esplorare noi stessi e il mondo
per la quiete della casa
per i bambini che sono
nostre divinità domestiche
per l’anima, perché se scende dal suo gradino
la terra muore
per il fatto di avere una sorella
ringraziare desidero per tutti quelli
che sono piccoli, limpidi e liberi
per l’antica arte del teatro, quando
ancora raduna i vivi e li nutre
per l’intelligenza d’amore
per il vino e il suo colore
per l’ozio con la sua attesa di niente
per la bellezza tanto antica e tanto nuova
Io ringraziare desidero per le facce del mondo
che sono varie e alcune sono adorabili
per quando la notte
si dorme abbracciati
per quando siamo attenti e innamorati
per l’attenzione
che è la preghiera spontanea dell’anima
per i nostri maestri immensi
per chi nei secoli ha ragionato in noi
per tutte le biblioteche del mondo
per quello stare bene fra gli altri che leggono
per il bene dell’amicizia
quando si dicono cose stupide e care
per tutti i baci d’amore
per l’amore che rende impavidi
per la contentezza, l’entusiasmo, l’ebrezza
per i morti nostri
che fanno della morte un luogo abitato.
Ringraziare desidero
perché su questa terra esiste la musica
per la mano destra e la mano sinistra
e il loro intimo accordo
per chi è indifferente alla notorietà
per i cani, per i gatti
esseri fraterni carichi di mistero
per i fiori
e la segreta vittoria che celebrano
per il silenzio e i suoi molti doni
per il silenzio che forse è la lezione più grande
per il sole, nostro antenato.
Io ringraziare desidero
per Borges
per Whitman e Francesco d’Assisi
per Hopkins, per Herbert
perché scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e cambia secondo gli uomini
e non arriverà mai all’ultimo verso.
Ringraziare desidero
per i minuti che precedono il sonno,
per gli intimi doni che non enumero
per il sonno e la morte
quei due tesori occulti.
E infine ringraziare desidero
per la gran potenza d’antico amor
per l’amor che se move il sole e l’altre stelle.
E muove tutto in noi.
Mariangela Gualtieri
Pablo Neruda, l'amore immortale
Cileno (1904–1973), definito da Gabriel Garcìa Màrquez "il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua", fu insignito nel 1971 del Premio Nobel per la Letteratura.
"IL TUO SORRISO"
Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’acqua che d’improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d’argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d’aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell’ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d’improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.
Vicino al mare, d’autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell’isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.
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