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Lucio Battisti, ottant'anni fa nasceva il genio delle emozioni

«Ci siamo persi molto», sono queste le parole utilizzate da Grazia Letizia Veronese con l’AGI quando le si chiede, secondo lei, che genere di artista sarebbe diventato Lucio Battisti, con cui è stata sposata oltre vent'anni. Veronese è stata non solo la compagna di una vita di Lucio, donna che dopo (ma anche prima) la morte del cantante, ha combattuto per far rispettare la volontà del marito di esistere solo in quanto musicista, e che quella musica non finisse in un mercato alternativo come quello televisivo e cinematografico. Tanti dunque sono stati i «no» detti da Grazia Letizia Veronese a chi voleva in qualche modo appropriarsi della figura del marito: festival, cover, film, programmi televisivi, fino addirittura alla diffusione tramite le moderne piattaforme. Probabilmente perché né Battisti, né lei, sul finire degli anni '90 potevano immaginare che da lì a poco il mercato discografico si sarebbe totalmente rivoluzionato.

Per molti fu la Yoko Ono del duo Battisti/Mogol, quel duo che creò le colonne sopra le quali si erge il pop italiano degli ultimi 50 anni, per altri più semplicemente la donna che è stata accanto a quello che è forse il più importante artista della musica leggera italiana di sempre. Un amore che poi è diventato anche una collaborazione, è lei infatti che si cela dietro la firma Velezia, posta su molta della produzione del Battisti post Mogol. «Era un professionista perfetto - prosegue con l’AGI la Veronese - in questo è stato magnifico; solo quando si sentiva pronto sceglieva con chi collaborare».

Battisti, gli 80anni di un genio

«Lucio Battisti è l’artista più popolare d’Italia e al tempo stesso il meno conosciuto, un personaggio che ha coltivato una sana antipatia verso la stampa e i media che non lo capivano: quando è apparso sulla scena, per esempio al Festival di Sanremo, lo accusavano di cantare male e perfino di avere i capelli troppo lunghi perché all’epoca la musica pop veniva seguita da giornalisti che si occupavano di costume, non di musica. E anche certi giudizi sui suoi ultimi dischi oggi andrebbero rivisti perché in fondo il suo approccio rivoluzionario non è mai cambiato». Ernesto Assante, storica firma di La Repubblica, è uno dei più importanti critici musicali italiani e ha appena dato alle stampe "Lucio Battisti" (Mondadori, pp. 336, euro 20), una biografia del geniale autore di "Emozioni" che oggi avrebbe compiuto 80 anni.

«Mi ha fatto ovviamente piacere che Mogol abbia definito il mio libro "preciso e scritto con grande professionalità", lo considero un grande complimento soprattutto considerando il fatto che di libri su Battisti ne esistono pochi» spiega ancora Assante in un’intervista all’ANSA. Chi affronta un lavoro del genere si trova inevitabilmente di fronte a un bivio perché dalla fine degli anni '70 Battisti non ha mai più parlato pubblicamente e la sua vita si è sempre più isolata per scelta sua e della sua famiglia: «il libro ha una prima parte biografica e una seconda basata essenzialmente sui dischi. Anche i suoi migliori amici come Adriano Pappalardo o Pietruccio Montalbetti proteggono la sua privacy, raccontano aneddoti ma alla fine parlano più di loro stessi che di quella parte di vita che il loro amico desiderava rimasse riservata».

Il libro è costruito come un racconto che svela tutti quegli elementi che contribuiscono a rendere affascinante la biografia di un genio. «Non faccio il filosofo, io lavoro sui dati biografici e sui dischi: Battisti per anni ha fatto il session man e io per ricostruire il suo percorso artistico ho parlato con tutti i musicisti cresciuti con lui, ho ricostruito i rapporti che aveva con il Progressive che aveva anche un suo lato sperimentale. Ne esce fuori una vera e propria scena musicale, secondo la migliore tradizione del rock. Il fatto è che, e probabilmente da qui nascevano le sue incomprensioni con i media, i suoi punti di riferimento erano l’Inghilterra e gli Usa, musicalmente parlando aveva una visione diversa, all’opposto delle canzonette quando era agli inizi ma lontanissima anche da quella dei cantautori. Era uno sperimentatore e da questo punto di vista non è mai cambiato, da 'Don Giovanni' in poi ha continuato la sua ricerca attraverso l’elettronica».

Ma a distanza di anni qual è la valutazione dei suoi ultimi quattro dischi che, sia sul piano della popolarità che dell’accoglienza critica, hanno avuto una vita non facile? «Come sempre riusciva ad essere più avanti rispetto al suo tempo: penso ad esempio al modo in cui ha destrutturato i testi rispetto al concetto tradizionale di canzone, un’intuizione che ha anticipato quello che stanno facendo oggi i rapper». A causa di una complicata vicenda legale la musica di Battisti è arrivata sulle piattaforme solo nel 2019 con l’eccezione proprio della sua produzione più recente che è ancora disponibile solo su supporto fisico. Le nuove generazioni hanno per così dire perso Battisti? «Non credo, ci sono giovani autori come Calcutta o Coma Cose, per citare solo due nomi, che si ispirano a lui in modo diretto. Proprio perché non è ovunque Battisti è più originale, resta un esempio unico di creatività destinato a durare nel tempo».

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