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Una playlist per te: 2020, il suono del silenzio che fa rumore

Nessuno fermerà quello che una musica può fare. Un anno spaccato a metà questo che sta per finire. Che ha cominciato col cantare, che si è dovuto zittire, che sembrava aver ripreso il suo senso, prima di ripiombare nel silenzio. Eravamo a Sanremo pieni di suoni, poco dopo ci siamo ritrovati prigionieri e senza sogni. Poi è arrivata l’estate e ci ha fatto illudere che fosse tutto passato. Abbiamo suonato, abbiamo addirittura ballato. E poi ancora, tutti chiusi dentro un’altra onda, più d’urto che sonora.

Da Diodato che non ne ha sbagliata una. Oltre alla vittoria del Festival con Fai rumore, al Nastro d’argento e al David di Donatello per Che vita meravigliosa (la colonna sonora dell’ultima pellicola di Ozpetk, La dea fortuna), Un’altra estate e Fino a farci scomparire sono altri due piccoli capolavori d’autore.

Ad Achille Lauro e la sua trilogia del tempo (cominciata lo scorso anno con 1969 e conclusa in questo, con 1990 e 1920). Un poker d’assi? Me ne frego, 16 marzoBam bam twist, Maleducata.

Passando per tutta quella buona parte di musica di Sanremo, l’ultimo momento felice, di aggregazione prima del lockdown (e speriamo il primo momento felice, di aggregazione, dopo i lockdown). Tra la rivelazione dei Pinguini Tattici Nucleari con Ringo Starr; l’eleganza assoluta di Tosca con Ho amato tutto; la leggerezza dissoluta di Elettra Lamborghini con Musica (e il resto scompare); Levante, la più passata dalle radio con Tikibombom. Ed Elodie con la sua Andromeda firmata Mahmood-Dardust.

Una capatina nell’estate che ci ha rimesso in pista col Karaoke di Alessandra Amoroso e Boomdabash o nella Mediterranea di Irama. Ancora Elodie, al sapore di Guaranà e poi il duetto assortito Ferro-Jovanotti in Balla per me.

Un “doveroso” omaggio a Sfera Ebbasta, il più Famoso, il re indiscusso (per quanto discutibile) di Spotify, nell’anno in cui rap e trap hanno spadroneggiato.

E uno sontuoso ai tre artisti che in questo 2020 hanno prodotto antologie, raccolte, inediti, grandi quanto la nostra storia. A Mina, che con Italian song (Orione e Cassiopea)  ha rivisitato capitoli mai visti e rivisti dell’antologia musicale italiana (Un tempo piccolo, di Califano nella versione di Tiromancino e Nel cielo dei bars di Buscaglione. Fred la cantava nel film Noi duri in cui era interprete nei panni del Bombardone, un agente dell’Fbi alle prese con Totò nel ruolo di narcotrafficante). A Renato Zero, Zero il folle, uscito con Zero Settanta Volumeuno, Volumedue e Volumetre per celebrare la sua età senza età. A Ligabue e il suo numero magico 77+7 (Volente o Nolente insieme ad Elisa).

E infine l'anello di congiunzione, tra chi è ferito e chi è guarito. Rinascerò rinascerai, Roby Facchinetti e Stefano D’Orazio. Un altro lutto, un'amicizia lunga mezzo secolo, un batterista battuto e la sua eredità. Le immagini dei carri militari a Bergamo, dove non c’è più posto nemmeno per il dolore. Forse il flash più abbagliante di questi mesi, quello che ci ha tolto la luce dagli occhi, facendoci sprofondare nel buio più pesto. E un brano, testo e melodia, per riaccendere l’urgenza della speranza.

E poi ci sono immagini che risuonano più di mille note.

Fai rumore, Diodato. Quando l’abbiamo ascoltata per la prima volta al Sanremo che ha vinto aveva un significato preciso. Bellissimo ma singolare. Parlava a qualcuno, prima di coinvolgerci tutti. Prima di volgere il senso verso una collettività ammutolita, che in quella canzone si è improvvisamente riconosciuta, che l’ha urlata. E l’esibizione in un’Arena di Verona deserta, quella registrata per l’Eurovision Song Contest (a cui di diritto ha partecipato, diventando il brano più ascoltato del contest) rimane la sua versione più suggestiva, quella che non si può scordare.

Amazing Grace, Andrea Bocelli. Pasqua, Music for Hope, Piazza Duomo a Milano e intorno tutto il mondo vuoto, pieno. Un inno cristiano, una lirica popolare, una preghiera universale.

C’era una volta in America, Jacopo. Il Venti Venti ci ha portato via tanto, si è preso il maestro dei maestri, Ennio Morricone. E l’omaggio di un ragazzo armato di chitarra, su un terrazzo di Roma, affacciato su Piazza Navona, ci ha restituito un pezzo di bellezza in mezzo ad un mare di tristezza.

Show must go on, Queen. Prendi il rock iconico di Freddy Mercury e la sua band. Togli le parole, che comunque ormai sono scolpite sulle pietra. Metti un ragazzina alla quale questo anno chiuso su se stesso ha tolto la possibilità di danzare. E aggiungi la sua sorellina, che fa di tutto perché l’universo continui a girare. È lo spot di Amazon la sintesi perfetta di un tempo che certamente non potremo dimenticare.

Fratelli d’Italia, Goffredo Mameli. Il canto degli italiani, che mai come quest’anno in questo pezzo di musica si sono ritrovati nazione, comunità, famiglia, ispirazione. L’Italia che si è desta, che sui balconi si è cinta la testa. Criticato, bistrattato, offeso, solo da poco istituzionalizzato. Eppure ufficiale, marziale. Con la schiena dritta e la mano al petto. Suona l’inno, canta l’Italia.

Nabucco, Giuseppe Verdi. “Oh mia patria sì bella e perduta/ O membranza sì cara e fatal/ Arpa d’or dei fatidici vati/ Perché muta dal salice pendi?/ Le memorie nel petto riaccendi/ Ci favella del tempo che fu”. E ora “Và pensiero sull’ali dorate/ Va ti posa sui clivi e sui colli/ Ove olezzano tiepide e molli/ L’aure dolci del suono che fu”.

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