Abbiamo figli e intere famiglie a Milano. Teniamo su in gran parte, con i nostri sacrifici, l'economia delle città e delle regioni del nord.
Con le nostre competenze e professionalità diamo un contributo prezioso, se non decisivo, a settori di vitale importanza, dai nostri insegnanti nelle scuole del nord ai medici negli ospedali, dai nostri operatori sanitari, infermieri ad altissima professionalità, ai nostri manager, e professionisti, e tecnici, e operai.
Siamo la spina dorsale dello sviluppo di intere zone del Paese, anche se da messinesi, siciliani e calabresi veniamo additati quasi sempre, e soltanto, per l'inquinamento mafioso portato da cosche e clan. I nostri studenti sono tra i migliori nelle varie università lombarde o emiliane. E i soldi delle loro famiglie consentono a centri di eccellenza milanesi o torinesi di essere al livello dei più importanti atenei internazionali.
Ebbene, abbiamo tutte le carte in regola per rivendicare ora con orgoglio la gestione dell'emergenza virus sui nostri territori, pur con tutti i limiti e con alcuni eclatanti casi di sottovalutazione, di ritardi, di mancati controlli, di omissioni. Ma abbiamo contenuto i contagi. E abbiamo tutto il diritto di puntare il dito invece contro lo scandalo di una regione, come la Lombardia, che è stato il vero "untore" dell'epidemia in Italia e che, con una gestione folle e dissennata, se non criminale, ha provocato decine di migliaia di morti.
Ci vorrebbe davvero, come qualcuno chiede, un processo di Norimberga contro i responsabili, a tutti i livelli: politici, sanitari, dai vertici della Regione ad alcuni sindaci, dai direttori delle aziende sanitarie a quelli delle grandi case di cura e di riposo per anziani come il Pio Albergo Trivulzio e tanti altri centri presunti di eccellenza lombarda.
Oggi che si sta immaginando l'uscita dal lockdown, la cosiddetta fase due, l'unica parte del Paese che non può e non deve fare pressione sul Governo è proprio quella del Nord Italia, in particolare la Lombardia. Guai se la loro ripartenza a senso unico diventasse la nostra rovina.
Guai immaginare le stesse scene della fuga, deliberatamente provocata, di migliaia di persone come avvenne a marzo, quando per liberarsi dalla pressione insopportabile sulle strutture sanitarie, il Nord fece di tutto per propagare notizie che precedevano la pubblicazione del Dpcm e consentì in modo scellerato la partenza di oltre cinquantamila persone verso le regioni meridionali.
Guai se il ritorno alla normalità consistesse nella ripresa delle attività produttive di una parte d'Italia che vuol pensare solo a se stessa, lasciando nell'abisso di una crisi economica e sociale tragica il Sud e i suoi territori.
Fosse avvenuto tutto al contrario, oggi avremmo la chiusura più totale, e diciamocela chiaramente anche in versione puramente razzista, di quelle Regioni nei confronti del Meridione "coleroso", "appestato", "incompetente" e "ndranghetista-mafioso". Patti chiari... e politici (soprattutto i nostri...) avvertiti!
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