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Il caso Djokovic? La finale persa con la Storia

Che fosse un "no vax", inizialmente sotterraneo, poi via via sempre più evidente ed emerso, fino ad assurgere a icona dei renitenti, poco ci importa. Non entreremo in questo pantano. Non ci interessa. Non staremo qui a far di conto con le bugie pronunciate col sorriso a mezza bocca e con lo sguardo sornione e intelligente da questo meraviglioso atleta. Uomo imperfetto (assenze improvvise, vuoti, derive sentimentali e spirituali.

Tutto normale per i comuni mortali),  tanto inscalfibile  in campo quanto debole nel cammino esistenziale che non sfugge ai "malati di tennis" (come colui che scrive): il virus patito, mentre i social (i suoi social) svelavano presenze tra Belgrado e Marbella a dicembre. E molto altro: dichiarazioni mendaci alle frontiere avallate da medici di casa compiacenti; presunte allergie che gli avrebbero impedito l'immunizzazione per stare "dentro le regole" che gli altri, tutti o quasi sui campi della lotta tennistica, rispettavano. Dichiarazioni fallaci, argomentazioni deboli, pietismo ad uso e consumo del popolo web. Sospinto dall'amore incondizionato della nazione serba, che lo attende per magnifiche sorti politiche, quando lo deciderà: perché è ai suoi piedi. Ma che oggi è cartina di tornasole di una debolezza coperta da ire nazionalistiche. C'è anche questo, un tratto antropologico.

Nole ha perso la partita più importante: quella dell'adeguatezza rispetto ai suoi più grandi rivali nella Storia di questo sport, che per coincidenza una generazione gli ha messo contro: il "divino" Roger Federer e il superuomo Rafa Nadal, che, sebbene abbia dovuto combattere contro i fantasmi della "sindrome di Asperger", mai ha sbagliato una mossa nella traslazione di sé. E con Murray e Wawrinka dei tempi migliori vedeva i sorci verdi.

Nole Djokovic ambiva e ambisce a essere il più grande di tutti in questo sport che sconfina nelle praterie del diavolo e, numeri alla mano, come sosterebbe Rino Tommasi, stava per riuscirci. Anzi, c'era riuscito. Venti titoli Slam e 37 Master 1000, come nessun altro, con l'età che giocava ancora a suo favore.
È franato sulla bugia, sulla presunta intoccabilità che spetta ai "numeri Uno" che possono muovere popoli e piazze, governi e diplomazie. Errore di valutazione che Federer e Nadal non avrebbero mai commesso. Loro, amati in tutti gli stadi del mondo e osannati, mentre a Nole  - invero il più forte di tutti, trofei alla mano -  continuano a ostracizzarlo a New York e in Australia, dove ha vinto nove volte ma gli oppongo barriere e lo rinchiudono in un centro per rifugiati: uno smacco che non aveva messo in conto. Lui, padrone del popolo serbo.

Essere i "numeri Uno" comporta una sforzo supplementare: che non è quello di abiurare alle proprie convinzioni, ma di non dire bugie. Tutto qui.
Ha perso la finale della vita. Rischia di passare alla Storia per inadeguatezza nel momento della sofferenza planetaria. Aveva tutto da perdere e nulla da guadagnare. E avendo messo insieme oltre 150 milioni di euro solo di premi in carriera (altra cosa sono gli introiti per sponsorizzazioni, che vanno almeno quintuplicati), avrebbe potuto permettersi il lusso di dire: "Gioco solo dove mi vogliono, perché non credo al vaccino". Avrebbe meritato rispetto. Né bugie, né sommosse di popolo, né sguinzagliamento di familiari (il padre: "L'Australia si sta mettendo contro la Serbia". Caspita, tremano).
Appunto, l'adeguatezza. Che non si conta né in dollari né in Slam. Ma questo Nole chissà se lo avrà compreso. Temiamo di no.

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