Il Governo lavora all’introduzione della quota 100 per l’accesso alla pensione anticipata ma oltre al paletto dei 62 anni studia un limite di almeno 36-37 anni di contributi. Secondo quanto si è appreso da fonti vicine al dossier della Manovra fissando il minimo dei contributi necessari a 37 (con 62 anni di età) si consentirebbe l’uscita anticipata dal lavoro di circa 410.000 persone in più rispetto alle regole attuali a fronte delle 450.000 che uscirebbero con almeno 36 anni e delle oltre 480.000 che potrebbero andare in pensione con almeno 35 anni.
Al momento, l’asticella sarebbe fissata a 37 anni di contributi ma la Lega preme per farla scendere a 36. Resta ancora sul tavolo anche l’ipotesi di una riduzione degli anni di contributi necessari per andare in pensione anticipata indipendentemente dall’età (dal 2019 saranno 43 e 3 mesi per gli uomini e 42 e tre mesi per le donne) anche se appare difficile che si arrivi a 41 anni e mezzo come inizialmente ipotizzato.
«Il Governo intende - spiegano le fonti - dare la possibilità di andare in pensione ad almeno 400.000 persone in più». Le nuove uscite riguarderebbe per il 60% lavoratori del settore privato per il 40% dipendenti pubblici (quindi circa 160.000 a fronte di 400.000 uscite in più). Nel settore pubblico nonostante lavorino circa tre milioni di persone l’età media è più alta che nel privato e le carriere contributive sono più lunghe e stabili.
I più avvantaggiati della riforma saranno coloro che sono nati nel 1957 e hanno lavorato almeno dal 1981: potranno infatti uscire nel 2019 con oltre cinque anni di anticipo rispetto alle regole attuali (sarebbero usciti nel 2024 a 67 anni e tre mesi con la pensione di vecchiaia o con 43 anni e sei mesi di contributi nel caso della pensione anticipata).
La nuova misura inoltre darebbe un piccolo spiraglio anche alle donne nate nel 1953 che con la riforma Fornero del 2011 hanno dovuto rinviare la pensione di sei anni (raggiungendo la vecchiaia nel 2020). Ma dovranno comunque avere maturato almeno 37 (o 36 a seconda della decisione del Governo) di contributi.
Sarà tutta la classe di lavoratori nati tra il 1953 e il 1957 a guardare con interesse alle decisioni dell’Esecutivo facendosi i conti sui contributi versati. Nel 2019 potrebbe uscire chi è nato nel 1957 se ha cominciato a lavorare nel 1981 (a 24 anni) ed ha versato contributi senza interruzioni. Per chi è nato nel '53 ci potrebbero volere 37 anni di contributi (e quindi aver lavorato dal 1982 arrivando così a quota 103) così come per chi è nato nel '54 (arrivando quindi di fatto a quota 102) e chi è nato nel 1955.
Se il Governo dovesse prevedere solo la quota 100 insieme alla possibilità di uscire a qualsiasi età con 43 anni e tre mesi di contributi prevista dal 2019 ma non coloro che ne hanno 41 e mezzo (come inizialmente ipotizzato) sarebbe penalizzato chi ha cominciato a lavorare molto presto. Ad esempio non potrebbe andare in pensione una persona nata nel 1958 che ha cominciato a lavorare nel 1978 a vent'anni perché ne avrebbe solo 61 di età. Resta aperto il tema di genere dato che resterebbe inalterata l’età di vecchiaia (quella con la quale in genere escono le donne) a 67 anni favorendo l’uscita delle persone con carriere lunghe e continue in genere appannaggio dei maschi, prevalentemente residenti al Nord.
«Sono giorni importanti per il nostro Governo perché siamo ad un bivio. E guardate che non c'è da scegliere tra la strada del deficit o quella del rigore. Chi la pensa così sbaglia. Siamo chiamati a fare una scelta molto più importante: dobbiamo decidere se avere il coraggio di stravolgere gli schemi e superare i dogmi del passato, oppure adeguarci a quello che i parrucconi di questo Paese sostengono, nulla di quello fatto negli ultimi 20 anni». Ha detto il vicepremier Luigi Di Maio sul blog dei Cinque stelle.
Serve una manovra coraggiosa, con un bilancio espansivo, perché se il Paese non cresce, il debito aumenta. Messaggio per il ministro dell’Economia dal vicepremier Matteo Salvini, intervistato in apertura di prima pagina dal Corriere. "Se la legge di bilancio sarà tale, e lo sarà - dice il ministro dell’Interno -, gli zero virgola di deficit in più non conteranno niente". Salvini sottolinea che gli sprechi si devono toccare, anche nella sanità, 'e i costi standard saranno importanti sotto questo punto di vistà.
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