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Crisi di governo, Conte: "Con la Lega stagione chiusa. Mio bis? Contano i programmi, non gli uomini"

Giuseppe Conte

Il premier dimissionario Giuseppe Conte ha rotto un silenzio che durava da giorni per mettere il turbo all’alleanza fra Pd e Movimento Cinque stelle: «Per quanto mi riguarda, la stagione con la Lega è chiusa e non si riaprirà». Il messaggio è chiaro: sono disponibile a un Conte bis, ma bisogna chiudere definitivamente la porta a Salvini.

Il motivetto è piaciuto al Pd, che per tutta la giornata non ha ottenuto dal Movimento Cinque Stelle una risposta netta sulla fine dell’esperienza gialloverde. «Mi auguro non esista l'ipotesi del doppio forno», ha ribadito il segretario Pd Nicola Zingaretti. Il cerchio non è comunque chiuso. Perché Conte non vuole la Lega, ma il segretario Dem non vuole Conte, che viene invece sostenuto da Luigi Di Maio.

Manca ancora la quadra ma il tentativo di accordo sembra prendere corpo. Eppure, la scadenza indicata dal Colle si avvicina. Il presidente Sergio Mattarella è stato netto: martedì vuole risposte chiare. E soprattutto vuole un nome per dare l'incarico. Poi potrebbe concedere un altro pò di tempo per permettere all’incaricato di formare la squadra di governo. Ma le dichiarazioni ufficiali dei leader di partito sono tute viziate dal tatticismo.

Il lavoro vero per trovare l’accordo prosegue sotto traccia. Difficile che salti tutto solo per un nome. Saranno giorni di rilanci, di richieste che servono anche a testare le intenzioni dell’avversario. Intanto, dalla corsa a Palazzo Chigi si è sfilata la vicepresidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, tirata in ballo da alcune ricostruzioni giornalistiche: «Intendo portare a compimento l’incarico alla Corte costituzionale, che si concluderà nel settembre 2020».

Per studiare i piani di azione, nel pomeriggio lo stato maggiore del Pd si è riunito in una casa del centro di Roma. C'erano gli esponenti della maggioranza interna: Paolo Gentiloni, Dario Franceschini, Marco Minniti, Paola De Micheli, Andrea Orlando, Maurizio Martina, Piero Fassino e Gianni Cuperlo. Per domani sono invece agenda i sei tavoli di lavoro 'ufficiali', per stilare il programma sui dossier da portare al confronto con il M5S.

Il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, che per il Pd partecipato al primo e unico incontro ufficiale con i Cinque Stelle, ha messo in chiaro le condizioni: «Siamo convinti che, senza ultimatum e senza veti, riusciremo a dare un governo al Paese». Sul fronte interno, i dem hanno passato una giornata senza particolari scossoni. Anche se Matteo Renzi una stoccatina l’ha data di nuovo.

All’indomani dell’uscita dell’audio in cui accusava Gentiloni di boicottare l’accordo con il M5S, prima ha lanciato un messaggio distensivo, «lasciate lavorare chi deve lavorare», poi ha pubblicato un post per chi ha orecchie per intendere: «Salvini è quasi ko. Mi auguro che adesso prevalga la responsabilità. E che si pensi all’Italia, non all’interesse dei singoli».

Anche i Cinque Stelle devono fare i conti al loro interno. La base ribolle, divisa tra chi vorrebbe andare al voto e chi punta ad un accordo con i Dem. Tanto che si avvicina l’ipotesi del voto su Rousseau. Secondo alcuni parlamentari pentastellati, se  nascerà un governo giallorosso, l’accordo passerà al vaglio della consultazione online se il premier sarà di nuovo Giuseppe Conte.

Senza di lui, il rischio di una bocciatura sarebbe altissimo. In tutto questo, Matteo Salvini ancora non ha perso le speranze. «Mai arrendersi, mai!», ha scritto su twitter. Il leader della Lega ha passato la giornata in casa con il ministro Lorenzo Fontana che, intercettato sulla porta, ai giornalisti che gli chiedevano se ancora ci siano speranze per un accordo con i Cinque Stelle, ha risposto sorridendo: «Penso proprio di sì».

Il più sconsolato pare Silvio Berlusconi, che attribuisce alla coalizione Pd-Cinque Stelle «le idee della più vecchia, deteriore e fallimentare sinistra pauperista, statalista e assistenziale» e ricorda «i tanti danni che ha prodotto all’Italia» quella gialloverde.

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