Sergio Mattarella dà l’incarico a Giuseppe Conte dopo due giri di consultazioni e 50 minuti di colloquio al Quirinale. E il premier al tempo stesso dimissionario e incaricato accetta con riserva, parla a lungo con i presidenti di Senato e Camera e inizia a tambur battente a Montecitorio le consultazioni per il Conte bis (o Conte 2, come preferisce lo si chiami il Pd).
Al primo giro di colloqui si schierano i partiti più piccoli (tra questi Leu, forte di numeri che irrobustirebbero la maggioranza giallorossa al Senato) per poi arrivare alle due colonne portanti del nascituro governo, M5s e Pd. Lega e Fdi alle consultazioni andranno, ma non con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che chiamano le piazze contro il nuovo governo.
La corsa di Conte, che Mattarella ha chiesto sia rapida, ha un traguardo non ancora scontato. E lui sa che c'è chi non gli farà sconti sul suo appena concluso anno e mezzo a Palazzo Chigi. Ma oggi gira pagina, promette «coraggio» e «un governo di novità», «non un governo contro ma un governo per il bene dei cittadini, per il bene del Paese». Il premier incaricato mette in fila una lunga sfilza di altri 'per': un governo per una manovra necessaria, per recuperare il tempo perduto in Ue, per fare in modo che «tutti, ma proprio tutti, paghino le tasse e le paghino meno», per la modernizzazione, per un Paese più giusto e inclusivo, per una stagione riformatrice su istruzione, energie rinnovabili, infrastrutture, ambiente e politiche green, tutela del patrimonio artistico. Ma soprattutto - e qui Conte si fa quanto più possibile distante dall’ex potente vicepremier che neppure dieci giorni fa voleva sfiduciarlo - un governo dove «il principio di rispetto delle regole è qualcosa di irrinunciabile» e sono «valori non negoziabili il primato della persona, il lavoro, l’uguaglianza, il rispetto delle istituzioni, il principio di laicità e nel contempo di libertà religiosa, la difesa degli interessi nazionali e l’integrazione Atlantica ed europea». E dove «l'umanesimo» non è un vezzo ma una cifra che si intende imprimere al restare a Palazzo Chigi. Un’idea di Paese in cui Conte racchiude la sua «coerenza», confessando di «aver nutrito dubbi», ma poi di aver scelto «per il bene comune» e per i suoi principi, che restano gli stessi «e non hanno colore».
Lo spread che crolla sotto i 165 è già un buon viatico ma i nodi nella formazione della squadra restano: in primis la questione dei vicepremier: Conte è pronto a farne a meno, il Pd ne vuole uno solo per sè, i pentastellati fanno ancora quadrato attorno a Luigi Di Maio («chi tocca Luigi attacca ciascuno di noi», tuonano i capigruppo D’Uva e Patuanelli) che si appresta a indire la consultazione su Rousseau. Nota dolente è poi la rivendicazione di ministeri di peso da Pd e M5s, che lavorano al programma.
Intanto Matteo Renzi - che per primo si è rimangiato il #senzadime aprendo al governo giallorosso - oggi si gode lo spettacolo: «Salvini esce politicamente di scena», chiosa. Ma il leader della Lega non ci sta a vestire i panni dello sconfitto: prepara Pontida, chiama la piazza e rilancia sui social: «Un governicchio fondato unicamente sulle poltrone e sull'odio non ha vita lunga. Per loro prima le poltrone,per noi ora e sempre #primagliItaliani!». La giornata di mobilitazione che annuncia in diretta per il 19 ottobre a Roma «contro il governo del Conte-Monti» è la prima mossa da capo dell’opposizione, per sconfessare chi lo vuole alle corde. Anche il leader Fdi Giorgia Meloni scende in piazza, ma ne sceglie una diversa: quella di Montecitorio nel giorno in cui Conte chiederà la fiducia, con bandiere tricolori e senza simboli di partito. Forza Italia prende le distanze e si prepara ad una opposizione «repubblicana».
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