A "Gazzetta del Sud" un'anticipazione su quanto scrive Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio e leader di Italia Viva, a proposito del Ponte sullo Stretto, nel suo ultimo libro. "La mossa del cavallo - Come ricominciare, insieme" (Marsilio, "Nodi", pp. 224, euro 16) sarà da domani nelle librerie. Il testo, in tempi di "ripartenze", è un manifesto programmatico. QIali le prioritò del Paese? Quali gli obiettivi da perseguire? Tra l'economia e la bellezza...
Per vincere la sfida della povertà serve più il ponte sullo Stretto che il reddito di emergenza. Qui si pone il grande tema che da anni attraversa ciclicamente e carsicamente il dibattito sulle grandi opere. C’è chi dice «facciamo il ponte sullo Stretto» e chi risponde «in Sicilia servono prima le ferrovie».
Entrambe le affermazioni contengono una verità quasi banale ed è ovvio che servono strade e ferrovie in una Sicilia il cui handicap infrastrutturale grida vendetta, specie per chi, come me, ha liberato miliardi di euro per quella regione, denaro che è stato inspiegabilmente bloccato dalla burocrazia locale e nazionale. È impensabile continuare a impiegare ore per spostarsi da Messina a Palermo o da Catania a Caltanissetta. È ingiusto non evidenziare le colpe storiche di una politica che troppo spesso ha concepito gli appalti pubblici – soprattutto in Sicilia ma non esclusivamente – più come occasione di ristoro illecito per gli amici degli amici che come soluzione per i cittadini dell’isola. Ma nel 2020 non si può continuare a vivere di recriminazioni; gli errori del passato sono tutti lì, nitidi nella loro evidenza. Oggi i soldi per le strade, per le ferrovie, per le fogne, per le scuole, per il dissesto idrogeologico ci sono.
Nella meravigliosa cornice della valle dei Templi, nel 2016 il governo siglò un patto con tutti i sindaci del valore di circa 6 miliardi di euro. Dunque il problema non sono i soldi, ma spenderli. E alla luce di questa novità, il ponte sullo Stretto non è più oggetto di un derby ideologico o delle canzonature reciproche di favorevoli e contrari, non è più un affare tra guelfi e ghibellini.
Il ponte sullo Stretto permetterebbe all’infrastruttura ferroviaria – prima ancora che alle auto – di fare dell’alta velocità una vera opera nazionale. Da Roma si deve arrivare a Palermo senza scendere dal treno, se si vuole. Ed è ovvio che la realizzazione del ponte cambia decisamente il concetto stesso di continuità territoriale, una svolta economica per le province interessate.
Ma sia chiaro che la realizzazione di quei 3 chilometri di ponte sarebbe una potente svolta mediatica per il paese. Non si tratta di un miracolo dell’ingegneria, pur avendo l’Italia un’oggettiva leadership nel settore. In Cina hanno inaugurato nel 2018 il collegamento di 55 chilometri tra Hong Kong e Macao (tempi di realizzazione: 9 anni), e un decennio fa un ponte di 36 chilometri. Siamo dunque in presenza di un’opera che potenzialmente costituirà per il sistema Italia un’occasione per fare marketing positivo. E se il ponte di Genova, lungo più di un chilometro, è stato ricostruito in qualche mese, possiamo ben dire che affidare a un commissario straordinario la realizzazione di un ponte per il quale le risorse ci sono già (anzi, si rischia un contenzioso in caso di mancata realizzazione) potrebbe portare in un triennio a una svolta simbolica anche al Sud.
Immagino la reazione del lettore: «Rieccoci con la storia del ponte, tanto non si sbloccherà mai…». E tutta l’esperienza degli ultimi decenni, d’altronde, sembra confermare questa previsione poco rosea. Ma io dico che o si fa dopo il coronavirus e dopo il successo del ponte di Genova, peraltro realizzato dalla stessa azienda vincitrice della gara per il ponte sullo Stretto, o davvero non si farà mai più. Si aggiunga che, per tutto il Mezzogiorno, il ritorno, non solo turistico ma anche psicologico, sarebbe formidabile.
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