«È il momento che emergano in Parlamento le voci che hanno a cuore le sorti della Repubblica. Le mie dimissioni sono al servizio di questa possibilità: la formazione di un nuovo governo che offra una prospettiva di salvezza nazionale. Serve un’alleanza, nelle forme in cui si potrà diversamente realizzare, di chiara lealtà europeista, in grado di attuare le decisioni che premono». Lo scrive Giuseppe Conte in un post su Fb. «La settimana scorsa, in Parlamento, il Governo ha ottenuto la fiducia in entrambe le Camere, ottenendo la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati e la maggioranza relativa al Senato. Il Paese, tuttavia, sta attraversando un momento davvero molto difficile. Da ormai un anno stiamo attraversando una fase di vera e propria emergenza. Le diffuse sofferenze dei cittadini, il profondo disagio sociale e le difficoltà economiche richiedono una prospettiva chiara e un governo che abbia una maggioranza più ampia e sicura. L'unica cosa che davvero rileva, al di là di chi sarà chiamato a guidare l’Italia, è che la Repubblica possa rialzare la testa. Allora avremo vinto tutti, perché avrà vinto l’Italia. Quanto a me, mi ritroverete sempre, forte e appassionato, a tifare per il nostro Paese».
Conte Ter
E’ lo scenario che il premier dimissionario caldeggia: il presidente del consiglio riesce a formare un nuovo governo con Pd,M5s e Leu allargando la maggioranza dopo la rottura con Iv. Il Conte ter ha però tre varianti: Matteo Renzi rientra al governo garantendo la stabilità oppure Iv resta fuori e la maggioranza si allarga con un nuovo gruppo di volenterosi che però finora non è emerso. Se questo gruppo fosse Fi o una parte consistente del gruppo azzurro si potrebbe parlare di maggioranza Ursula. Un’altra ipotesi che viene considerata ottimale sarebbe che nel governo rientra Iv ma anche un nuovo gruppo così da togliere a Matteo Renzi la golden share della maggioranza al Senato.
Stessa maggioranza, nuovo premier
E’ lo scenario più temuto dal presidente del consiglio uscente: i partiti di maggioranza con il rientro di Iv, o con l’ingresso di nuove forze politiche, trovano la quadra per un governo ma con un nuovo premier magari espresso da Pd o da M5s. Stando alle dichiarazioni, però, Pd, M5s e Leu dichiarano la guida di Conte «imprescindibile» e anche Iv ha chiarito che se il premier dimissionario non mette veti su Iv neanche Italia Viva li metterà su Conte.
Governo di unità nazionale
Il governo di unità nazionale, o governissimo, prevede la presenza di tutti o quasi tutti i partiti presenti in Parlamento con un presidente del consiglio "terzo" rispetto ai partiti. A ipotizzarlo è stato Silvio Berlusconi e si è già detto disponibile anche Cambiamo, il partito di Giovanni Toti, Più Europa e Azione. Contrario ad esperienze di governo con la destra è il Pd ma anche Fdi ha detto no a governissimi.
Elezioni
Considerata da tutti l’ultima spiaggia, la strada del voto si aprirebbe se la crisi non si riuscisse a ricomporre. Il presidente della Repubblica a quel punto scioglie le Camere e indice le elezioni.
Ma le incognite e i sospetti incrociati sono molti e toccherà a Mattarella capire le reali intenzioni dei partiti. «Ci sono le condizioni per rispondere all’appello del premier per allargare la maggioranza. Non c'è un’alternativa vera al Conte ter», aveva afferma prima del cdm la ministra Paola De Micheli. Pd, M5s e Leu fanno scudo al presidente del consiglio ma si dovrà capire i margini per «un governo ampio» e se possono cadere i veti incrociati con il partito di Matteo Renzi, pronto a rientrare in partita. Il Capo dello Stato dovrà poi capire la volontà del centrodestra. Nel pomeriggio è previsto un vertice tra Salvini, Meloni, Berlusconi in collegamento dalla Provenza, i centristi dell’Udc e Cambiamo di Toti. La coalizione appare divisa tra chi, come Fdi, non vede alternativa al voto e chi, come Fi, non esclude un governo di unità nazionale. «Serve un governo di salute pubblica ma non è in linea con il Conte ter, noi non faremo la zeppa di questa maggioranza», assicura il governatore ligure.
Cosa succede adesso
Con le dimissioni del presidente del Consiglio si aprono tutta una serie di passaggi istituzionali, di cui il Quirinale è il baricentro, legati alla crisi di governo. Eccoli, in breve.
IL COLLE. Quando il presidente della Repubblica riceve le dimissioni del premier può decidere, dopo consultazioni dei gruppi parlamentari, di conferire un mandato esplorativo ad un personaggio istituzionale (nel 2018 Mattarella lo conferì ai presidenti di Camera e Senato), o dare il mandato pieno o esplorativo al presidente del Consiglio uscente (che accetterebbe con riserva), oppure direttamente avviare proprie consultazioni al Quirinale: con i presidenti delle Camere, i rappresentanti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato ed il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano. Le consultazioni gli servono per constatare la situazione e, di conseguenza, assumere decisioni sulla nomina di un nuovo presidente del Consiglio o, eventualmente, sul conferimento di un altro mandato esplorativo. L’ultima ratio, in caso di impossibilità accertata di formare un nuovo esecutivo, è che decida di sciogliere le Camere per andare ad elezioni.
Le consultazioni del capo dello Stato, dopo le dimissioni del premier Giuseppe Conte presentate oggi, difficilmente potrebbero iniziare prima di mercoledì pomeriggio. Sulla strada ci sono infatti motivi tecnici per la preparazione dei locali con le indispensabili sanificazioni. Mercoledì mattina, inoltre, il presidente Sergio Mattarella ha in programma la cerimonia per le celebrazioni del "Giorno della Memoria».
GLI "AFFARI CORRENTI". Con le dimissioni, e fino al giuramento di un nuovo Esecutivo nelle mani del Capo dello Stato, il governo uscente rimane in carica per lo svolgimento degli affari correnti. Tra questi rientra l’eventuale emanazione di decreti legge in casi di necessità ed urgenza.
IL PARLAMENTO. In mancanza del rapporto fiduciario, con la crisi di governo si ferma tutta l’attività parlamentare, eccetto che per gli atti urgenti come la conversione dei decreti legge in scadenza. L’attività ordinaria delle Camere riprende solo dopo che il nuovo Esecutivo avrà incassato la fiducia da entrambe le Camere.
LA RELAZIONE SULLA GIUSTIZIA. In base alla riforma della legge sull'Ordinamento giudiziario del 2005, entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, il ministro della Giustizia rende comunicazioni (cui segue un voto) alle Camere sull'amministrazione della giustizia nel precedente anno. La relazione (in calendario alla Camera per mercoledì 27 gennaio) è di fatto propedeutica alla inaugurazione dell’Anno Giudiziario in Cassazione. Tuttavia, si registrano due precedenti di relazioni presentate ma non votate. Il primo è stato nel 2008, quando l’allora Guardasigilli Clemente Mastella si recò in Aula a Montecitorio per tenerla a poche ore dall’arresto (ai domiciliari) della moglie Sandra Lonardo. Mastella parlò alla Camera ed andò a dimettersi, per cui non ci fu un voto sulla relazione. L’unico precedente di relazione tenuta durante un governo dimissionario risale, invece, all’epoca di Mario Monti nel 2013. Si decise in quella occasione di dare per assolto l’obbligo con la semplice trasmissione.
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