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G20 in chiaroscuro: bene sui dazi, male sul clima

Nessuno dei partecipanti al G20 ha risparmiato lodi al padrone di casa, nemmeno il ministro degli Esteri russo che pure si è lamentato di un metodo negoziale «poco corretto» per fissare gli obiettivi della riduzione delle emissioni carboniche; tutti hanno decantato le capacità dei negoziatori italiani, l’organizzazione dell’appuntamento, la bellezza della città eterna. E «un summit di successo» è stato quello di ieri e oggi alla Nuvola nelle parole del presidente Mario Draghi, che si era posto l’esplicito obiettivo di rilanciare il multilateralismo.

Accordi importanti

Ha in particolare consentito di concludere importanti accordi, come quello sui vaccini anti-Covid anche ai Paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo condiviso di vaccinare il 70% della popolazione mondiale entro la metà dell’anno prossimo, o quello sulla «minimum tax» per le multinazionali, o ancora, a margine, l’accordo Ue-Usa per sospendere i dazi su acciaio e alluminio e, infine, l'impegno a versare ai Paesi «vulnerabili» 100 miliardi di dollari (circa 86,5 miliardi di euro).

L'amaro in bocca

La nota dolente riguarda però proprio il tema su cui c'erano più attese: la lotta al cambiamento climatico. L’annacquamento della scadenza per arrivare alla neutralità delle emissioni di carbonio, non fissata al 2050 come in altri vertici (Ue, G7), ma indicata genericamente «attorno alla metà del secolo», e anche la mancanza di precisione sulle azioni «significative ed efficaci» che i 20 si sono impegnati a mettere in campo per ridurre a 1,5 gradi la riduzione della temperatura globale rispetto all’era pre industriale, hanno lasciato più di un ospite e osservatore con l’amaro in bocca, oltre a mettere ulteriormente a rischio il negoziato avviato oggi a Glasgow.

La Cop26 ultima speranza

La Cop26, la conferenza Onu sul clima ospitata dal Regno Unito, è considerata «l'ultima speranza» per riuscire a limitare l’aumento a 1,5 gradi. Non per niente, proprio il premier britannico ha detto che serviranno «maggiori progressi» e pacchetti di aiuti per i Paesi in via di sviluppo rispetto a quanto stabilito nel documento finale di Roma, preannunciando che se la Cop26 fallirà, «tutto fallirà», mentre il numero uno delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha detto di partire da Roma «con le speranze disattese» anche se, ha concesso, «almeno non sepolte». Delusione è stata espressa anche dalle organizzazioni ambientaliste: per tutte, il WWF ha sintetizzato: «Ci aspettavamo molto di più dai paesi del G20, responsabili del 78% delle emissioni globali di gas serra. Ora devono aumentare i loro obiettivi e piani nazionali (NDC) per il 2030, in modo che l’attuale divario di ambizione per limitare l’aumento della temperatura globale a i 1,5 gradi C sia colmato, e che siano messe in atto politiche strutturali».

La differenza con Riad

Il successo di un Summit G20 non si misura dalle conclusioni. Ma l’esegesi del testo finale aiuta a comprendere lo sforzo di sherpa e diplomatici per arrivarci. E può essere indicativa la differenza tra il vertice di Riad, dell’anno scorso, e quello di Roma che si è tenuto nel weekend. A Riad, va detto, si è svolto tutto in videoconferenza a causa della pandemia. Nel novembre 2020 i lockdown erano ancora diffusi e i vaccini erano solo agli ultimi test clinici. E ciò potrebbe aver influito sull'esito. E’ mancata tutta quella parte, informale ma sostanziale, di confronto tra i leader. Chi ha lavorato alle conclusioni di Riad racconta che già allora ci fu un lungo dibattito su alcuni paragrafi, in particolare sul clima, per non complicare troppo l’impresa dell’Italia che avrebbe ereditato le promesse. Tuttavia la differenza d’impegno tra i due testi è lampante, a partire dalla lunghezza. A Riad le conclusioni dei Venti sono state di dodici pagine (di cui una di indice degli allegati) e 38 paragrafi; a Roma venti pagine (due di indice degli allegati) e 61 paragrafi.

I temi affrontati

I temi principali sono gli stessi, affrontati con attenzione diversa: a clima, ambiente ed energia il G20 di Riad ha dedicato cinque paragrafi (dal 29 al 30), di cui solo uno strettamente al clima con riferimenti generici alla Cop21 di Parigi; Roma ne dedica nove (dal 21 al 29) di cui otto a clima e inquinamento citando i chiari impegni assunti dai leader, con gradi e scadenze. «Rimaniamo impegnati nell’obiettivo dell’accordo di Parigi di mantenere la media globale dell’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 C e proseguire gli sforzi per limitarla a 1,5 C al di sopra il livello dell’era preindustriale, anche come mezzo per consentire il raggiungimento dell’Agenda 2030», si legge invece nel paragrafo 21 delle conclusioni di Roma. «Riconosciamo che gli impatti del cambiamento climatico a 1,5 C sono molto inferiori rispetto a 2 C. Mantenere 1,5 C a portata di mano richiederà azioni e impegni significativi ed efficaci da parte di tutti i Paesi, tenendo conto dei diversi approcci, attraverso lo sviluppo di chiari percorsi nazionali che si allineino ambizione a lungo termine con obiettivi a breve e medio termine e con il sostegno e la cooperazione internazionale, compresi la finanza e la tecnologia, il consumo e la produzione sostenibili e responsabili come fattori abilitanti critici, nel contesto dello sviluppo sostenibile. Attendiamo con impazienza una COP26 di successo», è il paragrafo 23. Nel paragrafo 24 viene citata come scadenza «metà secolo» e non 2050 come avrebbero voluto i leader più ambientalisti. Ma Riad non c'era traccia nemmeno del metà secolo. «Aumenteremo i nostri sforzi per attuare l’impegno preso nel 2009 a Pittsburgh per individuare e razionalizzare, nel medio termine, sussidi inefficienti ai combustibili fossili che incoraggiano gli sprechi e ci impegniamo per raggiungere questo obiettivo, fornendo un sostegno mirato ai più poveri e i più vulnerabili», è il paragrafo 27 del testo di Roma (a Riad non era stato citato).

Alla Cop26 si parlerà ancora di ambiente

In vista della Cop26 «ribadiamo il nostro sostegno per affrontare le pressanti sfide ambientali, come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, mentre promuoviamo la crescita economica, la sicurezza energetica e l’accesso per tutti e la protezione dell’ambiente. I firmatari dell’Accordo di Parigi che hanno confermato ad Osaka la loro determinazione ad attuarlo, ribadiscono ancora una volta il loro impegno per la sua piena attuazione, riflettendo responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità, alla luce delle diverse circostanze nazionali. Questi firmatari ricordano la richiesta della Cop21 di comunicare o aggiornare i loro contributi determinati a livello nazionale che riflettano la loro più alta ambizione possibile, in conformità con i loro obblighi ai sensi dell’Accordo di Parigi, tenendo conto dei mezzi di attuazione; e sottolineare l’importanza di fornire e mobilitare un’ampia varietà di risorse finanziarie, per assistere i Paesi in via di sviluppo nei loro sforzi di adattamento e mitigazione, in conformità con l’Unfccc e l’Accordo di Parigi, riaffermando l’importanza della cooperazione internazionale». Inoltre, «questi firmatari ribadiscono l’invito a comunicare entro il 2020 strategie di sviluppo a lungo termine a basse emissioni di gas serra. Questi firmatari ricordano l’impegno assunto dai Paesi sviluppati per l’obiettivo di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per soddisfare le esigenze dei Paesi in via di sviluppo. Tutti i membri del G20 continuano inoltre a sostenere gli sforzi e a utilizzare tutti gli approcci disponibili volti a promuovere la tutela dell’ambiente per le generazioni future e sottolineano che sono necessari ulteriori sforzi globali per affrontare queste sfide, mantenendo al contempo economie sane favorevoli alla crescita, a posti di lavoro dignitosi e all’innovazione». E’ il paragrafo 33 della dichiarazione finale di Riad.

Pandemia, approccio cambiato

Cambia, ovviamente, l’approccio verso la pandemia di Covid-19. Nel G20 del 2020 si parlava (paragrafo 3) di «mobilitazione di risorse per rispondere alle esigenze di finanziamento immediate nella salute globale per sostenere la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di diagnostica, terapie e vaccini Covid-19 sicuri ed efficaci». Un anno dopo, la pandemia viene preceduta dal multilateralismo e dell’economia globale (i primi tre paragrafi). Al quarto paragrafo invece i Venti si impegnano a vaccinare il 70% della popolazione globale entro metà 2022. «Per sostenere l’avanzamento verso gli obiettivi globali di vaccinare almeno il 40% della popolazione in tutti i Paesi entro la fine del 2021 e il 70% entro la metà del 2022, come raccomandato dall’Oms, adotteremo misure per contribuire ad aumentare l’offerta di vaccini e prodotti e input medici essenziali nei Paesi in via di sviluppo e rimuovere ostacoli a forniture e finanziamenti. Chiediamo ai nostri ministri della Salute di monitorare i progressi verso questo obiettivo e di esplorare modi per accelerare la vaccinazione globale, se necessario». Ovviamente la dichiarazione di Roma celebra l’accordo dell’8 ottobre sulla tassazione globale: «Un risultato storico attraverso il quale stabiliremo un sistema fiscale internazionale più stabile ed equo», scrivono i leader. A Riad era poco più che un auspicio. Altro tema totalmente nuovo riguarda il divario digitale a cui la dichiarazione di Roma dedica cinque paragrafi in cui vengono esortati gli investimenti in infrastrutture digitali.

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