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Noi che la “Gazzetta del Sud” la facciamo ogni giorno: al fianco dei lettori dal 1952

Ci siamo noi lì, da qualche parte, da ogni parte. Siamo quelli che hanno scritto, e quelli che hanno corretto; quelli che hanno «portato le notizie», quando le notizie si portavano facendo la spola tra la redazione e il resto del mondo, perché non esistevano telefonini e computer; quelli che hanno composto le pagine, quando le macchine mangiavano piombo; quelli che hanno tagliato le foto, con millimetrica pazienza e il vecchio buon taglierino; quelli che passavano i pezzi nella “macchina della colla”, quando il giornale si faceva con una catena di mani; quelli delle mani al lavoro per tutto il giorno e soprattutto la notte, mani che scrivono, battono sui tasti, mani che trasformano i testi in lastre, le lastre in pagine, e poi tutto nel mostro ruggente, la rotativa che prende vita a un certo punto della notte, quando i lavoratori si danno il cambio, e il nastro corre e non c’è nessuno, per stanco che sia, che non lo guarda affascinato per qualche istante, prima di uscire.
Ci siamo noi, in questa storia di tanti anni e tanti mondi diversi che si sono toccati e sostituiti nel tempo. I cronisti diventati deskisti (ora lo siamo tutti, ora che la scrivania si chiama postazione, le interviste puoi farle con Zoom e puoi assistere a cose distanti migliaia di chilometri, in questo paradosso del mondo più piccolo e più sconfinato); i fotografi analogici e poi digitali; i correttori di bozze, estinti come certe specie favolose d’una preistoria che ormai in pochi ricordano, come i dimafonisti, o i fattorini che portavano in giro le carte, quando la carta si faceva con la carta, o i valorosi archivisti, custodi di ogni memoria; i tipografi che pian piano hanno perso le cassette di caratteri, i righelli e i tipometri e adesso sono anche loro deskisti, uomini di postazione, perché il piombo è diventato luce e impulso e lo sferragliare delle macchine un ronzìo elettrico (ma mente e cuore non sono ancora soltanto algoritmo…).
E poi gli spedizionieri, gli uomini dell’alba coi loro furgoni. E quelli del mattino e del giorno: gli amministrativi, gli impiegati, quelli dello sportello. Quelli delle pulizie. Quelli del centralino, onnipresenti, instancabili.
Ci siamo noi, dentro questa lunga storia, i lavoratori, i colleghi, a volte gli amici di una vita. La prima donna a lavorare al giornale, e poi due, dieci, fino a non contarle più. Quelli che ci hanno lasciati troppo presto, quelli che rimpiangiamo tutti, quelli che ancora ci fanno sorridere, quelli che avevano inventato il lessico familiare di redazione, gli sberleffi, le canzoni. Quelli fragili, quelli scontrosi, quelli fratelli. Quelli a cui avremmo potuto dare di più, o chiedere di più. I corrispondenti, tutti, dal luogo più sperduto ai centri grandi come città, quelli di poche righe e quelli dei pezzi quotidiani, tutti indispensabili. I collaboratori, di qualunque materia ed epoca, tutti indispensabili.
In ogni storia così lunga, come quella della Gazzetta del Sud e del suo gruppo editoriale, ci sono tante storie umane che s’incrociano, ci sono gli sforzi e la volontà, le idee e l’intelligenza, la catena di mani e di menti di tante persone, di tanti lavoratori che ne sono sempre, in qualunque caso – oltre le vendite, le tirature, gli utili e le cifre – il vero “capitale umano” (e posto che non resti un assurdo ossimoro, accostare il capitale all’umano…).
Ci siamo noi, decine e decine di calabresi e siciliani, donne e uomini, che abbiamo dato forma a questo lavoro che ha senso, che ha possibilità solo se è collettivo e corale. Noi che, con fatica e sacrificio, abbiamo cercato di costruire un ambiente umano prima che professionale. Vorrei scriverli tutti, i nomi di noialtri, accanto a quelli di chi ha fondato e diretto la Gazzetta del Sud nella sua lunga storia. Alcuni i nostri lettori li conoscono bene, li vedono spesso, o li hanno nella memoria, altri non li sapranno mai, ma essi restano dentro questa grande storia, ne sono parte fondamentale. E quale che sia stato o che sia il nostro viaggio personale dentro tutto ciò, oggi è anzitutto la festa di ciascuno di noi.

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