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L'arresto di Messina Denaro, aveva un orologio da 35mila euro. Il pm: "E' malato, ma può andare in carcere"

Ci è apparso in buona salute e di buon aspetto non ci pare che le sue condizioni siano incompatibili con il carcere». Lo ha detto l’aggiunto di Palermo, il cosentino Paolo Guido alla conferenza stampa sulla cattura del boss Messina Denaro. «Era di buon aspetto, ben vestito, indossava capi di lusso ciò ci induce a dire che le sue condizioni economiche erano buone», ha aggiunto. «Ovviamente sarà curato come ogni cittadino ha diritto essere curato», ha concluso.

«Siamo orgogliosi del lavoro fatto questa mattina che conclude una attività lunga e complicatissima, perché abbiamo catturato l’ultimo stragista che ha partecipato alla stagione stragista del 1992/1993. Era un debito con le vittime di quegli anni e questo debito è stato parzialmente saldato. «Ovviamente la mafia non è sconfitta ma il fatto che la gente ha fatto gesti di giubilo applaudendo e abbracciando i carabinieri ci lascia ben sperare. Un gesto importante per una città come Palermo». Non si lascia trasportare dai facili entusiasmi il procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, ma oggi è certamente una data storica per Palermo, e per l’intera nazione. Al pari del 15 gennaio 1993 (arresto di Totò Riina) e dell’11 aprile 2006 (arresto di Bernardo Provenzano). Questa mattina infatti, con un blitz coordinato al millesimo di secondo, Matteo Messina Denaro, «U siccu», 60 anni, latitante dal 1993, da trent'anni, figlioccio prediletto del corleonese Totò Riina, è stato arrestato dai carabinieri in una clinica di Palermo, La Maddalena, dove doveva sottoporsi a una seduta di chemioterapia. Il boss utilizzava i documenti di identità di Andrea Bonafede, un uomo di Campobello di Mazara. Preso insieme a un commerciante d’olive incensurato, Giovanni Luppino. Questa identità era stata utilizzata anche in precedenza dal boss per sottoporsi a due interventi chirurgici, uno durante la pandemia e l’ultimo nel maggio scorso.

L'incrocio sui dati sanitari

Secondo quanto accertato dalle indagini - incrociando i vari data base del servizio sanitario nazionale e del ministero dell’economia - al momento degli interventi Andrea Bonafede non era sotto i ferri. Da questo elemento si sono sviluppate le indagini - «senza dichiarazioni di collaboratori di giustizia ne soffiate anonime ma incrociando tutte le informazioni - giungendo al «forte sospetto che forse si era arrivati a Lui», hanno spiegato in conferenza stampa. E oggi - tra la visita della premier Giorgia Meloni, del sottosegretario Alfredo Mantovano e del comandante generale dell’Arma, Teo Luzi - nei corridoi al secondo piano del palazzo di giusizia di Palermo, c'era una aria «frizzante» e di entusiasmo, seppur contenuto. Anche la memoria storica della procura, l’aggiunto Paolo Guido, restìo ai flash e poco propenso alle dichiarazioni ma che dal 2007 segue le indagini sulla ricerca del latitante, ex, numero 1 d’Italia, regala morigerati sorrisi e qualche abbraccio. Dice: «In questi giorni ho dormito pochissimo, stanotte praticamente niente. La certezza che era lui - ha aggiunto - l’abbiamo avuta solo stamattina». Matteo Messina Denato non ha opposto alcuna resistenza: ha solo detto al militare «Sono Matteo Messina Denaro». D’altronde il dispositivo predisposto nell’ultimo briefing di ieri notte era su tre livelli: la territoriale a cinturare la parte esterna della struttura sanitaria, il personale del Ros in nella zona intermedia e in prima linea assieme a quello del Gis che sono entrati per individuare e bloccare Messina Denaro: «Rivolgo un riconoscimento e affetto verso l’arma dei carabinieri, verso il Ros e verso tutti coloro i quali - ha detto il capo dei pm palermitani, De Lucia - sono intervenuti per il modo con cui è stato condotto il lavoro finale coordinati dall’aggiunto Paolo Guido. I militati sono intervenuti con le divise per dare un senso di sicurezza alle tante persone presenti e di presenza dello Stato Catturando un latitante pericolosissimo e senza neanche l’utilizzo delle manette».

Il primo colloquio con Matteo Messina Denaro

Oggi De Lucia e l’aggiunto Paolo Guido, prima della conferenza stampa, hanno raggiunto la struttura di Boccadifalco (Palermo) dove l’ex super latitante è stato trasferito per tutte le formalità di rito. «Nessun approccio particolare. Nei prossimi giorni si vedrà. Abbiamo - ha proseguito De Lucia - proposto, fin da subito, il regime speciale del 41 bis per il boss Matteo Messina Denaro. Non posso invece rivelare in quale casa circondariale sarà detenuto». Secondo l’aggiunto Paolo Guido, il boss, affetto dal morbo di Chron e da una patologia tumorale, le condizioni di salute «sono tutto sommato buone, in linea con chi frequenta una struttura come quella in cui lo abbiamo arrestato. E le sue condizioni ritengo che siano compatibili con il regime carcerario». Da subito si apre un nuovo capitolo: sono state fatte perquisizioni al mezzo con cui il boss ha raggiunto la clinica assieme ad un altra persona, Giovanni Luppino, arrestato per favoreggiamento ma che risulta «un perfetto sconosciuto ae non per l’omonimia con un altro soggetto noto invece alle cronache Matteo Messina Denaro - ha spiegato De Lucia - non parla, indicazioni non ne ha dato e fino a stamattina non sapevamo neanche che faccia avesse. L’obiettivo primario era per noi la cattura».
«Questo risultato è il risultato storico, frutto del lavoro corale del sacrifico di tanti carabinieri e alle attività che sono andate avanti in maniera progressiva, incessante e continua», ha detto il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros dei carabinieri. «Dopo un percorso investigativo che è durato molti anni - ha aggiunto - nell’ultimo periodo abbiamo acquisito elementi di indagine che ci hanno portato a concentrare la nostra attenzione sull'aspetto dello stato di salute del latitante, e su quale struttura stesse frequentando per curare la sua malattia».
«Non abbiamo trovato un uomo distrutto, in apparente buona salute, ben curato. In linea con un uomo di 60 anni di buone condizioni economiche», ha spiegato il procuratore aggiunto Paolo Guido, talmente buone da indossare beni di lusso, a partire da un orologio da 35 mila euro.
E ora non è finita. «Non ci fermeremo», ha assicurato De Lucia. Le indagini proseguono sulle «attuali protezioni» di un uomo che ha goduto del sostegno di «fette della borghesia» e del potere. Se dovvesse decidere di parlare avrebbe sicuramente molto di dire. E il 19 gennaio, nell’aula bunker di Caltanissetta, primo appuntamento processuale per l’imputato nel processo d’appello in quanto ritenuto uno dei mandanti delle stragi del 1992.

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